Cronaca

Strage di Strongoli, l’ordine partì da Cirò

“La base della strage di Strongoli è stata Cirò, gli omicidi stessi furono ordinati dai cirotani e precisamente da Peppe Romano, Giuseppe Spagnolo e Natale Bruno. A sparare furono Scaglione, Franco Abruzzese e Nicola Acri. Mi ha raccontato tutto il padre di Scaglione ma io stesso facevo parte della cosca Abruzzese”.

“La base della strage di Strongoli è stata Cirò, gli omicidi stessi furono ordinati dai cirotani e precisamente da Peppe Romano, Giuseppe Spagnolo e Natale Bruno. A sparare furono Scaglione, Franco Abruzzese e Nicola Acri. Mi ha raccontato tutto il padre di Scaglione ma io stesso facevo parte della cosca Abruzzese”. Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Pierciaccante davanti alla Corte d’assise d’appello di Catanzaro (Barone presidente, Petrini a latere) rivelano uno scenario inedito sulle responsabilità della strage di mafia avvenuta nel febbraio 2000 sul corso Miraglia di Strongoli, cancellando dal processo l’ipotesi che il mandante sia stato Salvatore Giglio e che lo stesso boss si sia prodigato per fornire appoggio logistico ai killer dell’alto cosentino con il contributo diretto dei suoi familiari: la moglie Carmela Roberta Putrino, il fratello Pasquale, il padre Giuseppe, la cognata Roberta Lonetti, tutti imputati nel processo.
Le vittime “erano scomode ai cirotani” ha infatti spiegato Pierciaccante rispondendo alle domande del sostituto procuratore generale Domenico Prestinenzi, che aveva chiesto e ottenuto la riapertura del processo, concluso in primo grado con l’assoluzione per non aver commesso il fatto di tutti gli imputati eccetto Cosimo Scaglione.
Insomma, l’omicidio in piazza di Salvatore Valente, Vincenzo Otello Giarratano, Massimiliano Greco, oltre che del 73enne Ferdinando Chiarotti colpito e ucciso per sbaglio, e il tentato omicidio di Francesco Giarratano, miracolosamente rimasto illeso, non sarebbero maturati nel contesto di una faida interna alla cosca di Strongoli ma avrebbero avuto altre motivazioni.
Anche l’ex collaboratore di giustizia Scaglione, che in un primo momento aveva accusato i Giglio ma poi ritrattò tutto e venne arrestato, è stato sentito dal procuratore generale e dai difensori degli imputati, avvocati Pietro Pitari, Francesco Verri, Luigi Falcone, Antonio Managò, Giuseppe De Marco, Claudia Conidi. Ma ha infilato una serie impressionante di “non ricordo”, negando anche di aver scritto, sul finire del 2006, una lettera a questo giornale in cui, sconfessando le precedenti dichiarazioni, aveva urlato la sua innocenza; circostanza invece confermata dallo stesso Scaglione davanti al Tribunale di Crotone nel processo per i tentati omicidi che precedettero la strage, come ha ricordato l’avvocato Pitari. E ancora Scaglione ha affermato di non serbare memoria della ritrattazione del dicembre 2006, né dei compromettenti documenti consegnati agli inquirenti. Fra questi atti, prodotti in aula dai difensori, le fotocopie di assegni consegnati dal collaboratore di giustizia Di Dieco, a sua volta imputato nel processo, a Scaglione, ma anche lettere, fotografie che li ritraggono insieme e la trascrizione operata dalla polizia giudiziaria di decine di sms che i due, fingendosi un coppia di amanti e chiamandosi “amore mio” per non destare sospetti in caso di intercettazione, si sarebbero scambiati durante il periodo della collaborazione e durante il processo. Scaglione, del resto, ha confermato di aver incontrato spesso Di Dieco quando entrambi si trovavano in località protetta e di aver beneficiato del denaro messogli a disposizione da quest’ultimo. Ha negato tutto il resto, ribadendo soltanto di aver detto la verità “la prima volta”, quando ha raccontato la sua prima versione sulla strage, quella che ha portato gli imputati al processo ma che, successivamente, non è stata creduta dai giudici dell’Assise.
(d.p.)