Cronaca

Il turista straniero? Si ferma ad Eboli

Trovarsi nel cuore dell’estate, il fatidico, magico agosto, e accorgersi di essere di fatto tagliati fuori dai grandi flussi turistici internazionali, quelli che da sempre prediligono il Belpaese, è una circostanza spiacevole e, per noi, persino culturalmente paradossale. Come mai, infatti, una terra, come la Calabria, e quindi anche il crotonese che è una provincia che ne fa parte, non è riuscita a “monetizzare”, o, se si preferisce, a tradurre in fatti concreti, un suo pregio distintivo come l’ospitalità? Come mai la capacità, riconosciutaci internazionalmente, di saper accogliere quanti provengono da fuori regione in maniera encomiabile, e con modalità che non hanno pari nel resto del mondo, non ha sortito, negli anni, nei decenni, grandi risultati sul piano delle presenze soprattutto estive?

Trovarsi nel cuore dell’estate, il fatidico, magico agosto, e accorgersi di essere di fatto tagliati fuori dai grandi flussi turistici internazionali, quelli che da sempre prediligono il Belpaese, è una circostanza spiacevole e, per noi, persino culturalmente paradossale.
Come mai, infatti, una terra, come la Calabria, e quindi anche il crotonese che è una provincia che ne fa parte, non è riuscita a “monetizzare”, o, se si preferisce, a tradurre in fatti concreti, un suo pregio distintivo come l’ospitalità? Come mai la capacità, riconosciutaci internazionalmente, di saper accogliere quanti provengono da fuori regione in maniera encomiabile, e con modalità che non hanno pari nel resto del mondo, non ha sortito, negli anni, nei decenni, grandi risultati sul piano delle presenze soprattutto estive? Come mai quella vocazione, che individualmente ogni abitante di questa terra possiede, di far sentire a proprio agio il proprio ospite, poi sul piano collettivo non funziona?
Sono domande che dobbiamo incominciare a porci, ma non per sterili discussioni convegnistiche, ma per trovare, e al più presto, dei validi correttivi a quello che è un dato di fatto. La Calabria, terra bellissima, dotata da madre natura di centinaia di chilometri di litorale e di uno splendido entroterra, resta, soprattutto per i turisti stranieri, una sorta di “terra di mezzo”, una zona di passaggio tra la Campania e la Sicilia, entrambi regioni che, storicamente, costituiscono forti poli di attrazione.
Se nomi altisonanti e subito spendibili dai tour operator, come Pompei, Amalfi, Capri, da una parte, e Taormina, Palermo, Siracusa, dall’altra, comprimono irrimediabilmente, sul piano del richiamo, l’appeal delle nostre pur bellissime località di mare o di montagna, tuttavia è pur vero che una parte di responsabilità dobbiamo avere l’umiltà di prendercela, a meno che non si abbia la presunzione di trovarsi nel giusto e, quindi, di essere ignorati chissà per quale arcano motivo.
Purtroppo, non è così. E se quel senso di ospitalità di cui siamo naturali detentori non è riuscito a fare breccia nel cuore dei visitatori internazionali è perché vistose sono le contraddizioni. Le lacune. Le pecche. Dalla scarsa cura del territorio e del patrimonio storico e naturale alla difficoltà che abbiamo di proporre, al di là dei tentativi che pur sono stati fatti, un’immagine soddisfacente e allettante della nostra terra nel resto d’Italia e all’estero.
In mezzo a tutto ciò, come se non bastasse, si incuneano anche le carenze dell’organizzazione turistica, l’approssimazione all’insegna delle quale spesso ci si affida, e le poco lungimiranti politiche del settore che, tranne che in pochi casi, non hanno saputo superare la fase, ormai arcaica, dei cartelloni di spettacoli pubblici serali, nati dappertutto sulla scia delle estati romane di Renato Nicolini.
Troppo poco, così come evidentemente è improduttivo e fuorviante ritenere che bastino, da soli, i bagni di mare o le escursioni in Sila per attirare visitatori. Visitatori che nel tempo sono diventati vieppiù di palato fino. Visitatori che vogliono, nel pacchetto vacanze programmato nei mesi invernali, unire l’aspetto ludico o salutistico di una vacanza al mare o sotto gli abeti con quelli impegnati degli eventi culturali, delle visite ai musei e borghi d’arte, se non addirittura delle rassegne tematiche che muovono altrove migliaia e migliaia di persone. Tutte disposte a spostarsi se solo intuiscono che vale la pena fare migliaia di chilometri per essere testimoni di appuntamenti da incorniciare tra quelli da ricordare.
Se non comprendiamo questo, probabilmente, molte altre estati di magra ci attendono, con buona pace di chi ritiene che iscriversi ad una fiera del turismo o rendere pubblico il programma delle manifestazioni estive ad agosto iniziato bastino a coprire i vistosi vuoti lasciati dai visitatori del “Grand Tour”.
Solo se riusciremo a dare una nuova interpretazione all’ospitalità che ci è connaturata, potremo inserirci nei grandi flussi turistici che oggi ci lambiscono. Altrimenti, complice la crisi finanziaria globale che prosciuga i portafogli anche dei popoli più abbienti, resteremo l’eterna periferia delle vacanze europee e mondiali.
(a.c.)