Cronaca

Scarpette, zaini e valige: i resti di vite finite su una spiaggia italiana

CUTRO – Una scarpetta numero 26. Piede destro. Nera con qualche glitter. È di una bimba. È la testimonianza di una piccola vita che compare tra i resti della imbarcazione naufragata sparsi per centinaia di metri sulla spiaggia di Steccato Cutro. Una delle tante piccole vite inghiottte dal mare Ionio domenica 26 febbraio. Sono complessivamente 14 i minori morti nel naufragio: il più piccolo aveva 8 mesi, il più grande 13 anni.

"La mia sorellina è andata giù e ora è su nel cielo" ripete un bimbo di 10 anni che è scampato al naufragio ed è ricoverato, insieme ad altri 4 bambini, all’ospedale di Crotone. Qui una infermiera del reparto Covid (dove il piccolo era stato ricoverato perché positivo) grazie ai suoi contatti con cittadini iraniani che vivono a Crotone da tempo, è riuscito a far parlare il piccolo con una persona che capiva la sua lingua. Il piccolo piangeva e chiedeva di poter stare con la mamma: lui sapeva che  era viva e che era arrivata con lui all’ospedale, dove poi erano stati divisi. Così l’infermiera è andata a cercarla, è entrata nei reparti pronunciando il nome della donne finché si è alzata una mano di una signora che stava andando a fare la tac. Era lei. Aveva ritrovato il suo bambino vivo. 
Sulla spiaggia ci sono le borse, le valige e gli zaini abbandonati tra le onde e la sabbia. Contengono abiti, spesso medicine o alimenti per bambini. C’è una borsa per l’acqua calda tutta colorata e rivestita di stoffa: magari è servita a riscaldare qualcuno durante il terribile viaggio. Pettini, cosmetici, veli colorati. La vita che c’era è finita tra i granelli di sabbia di una costa italiana. I superstiti sono accovacciati, stretti uno accanto all’altro come per darsi forza e reagire al freddo e alla paura. Qualcuno si alza quando passa il fuoristrada della Capitaneria di porto di Crotone che trasporta i cadaveri dalla spiaggia ad un gazebo improvvisato per accogliere le salme. I morti vengono sballottati dalle onde sulla riva: accorrono i volontari a comporli. I sacchi bianchi puntellano la costa. 
Al centro di accoglienza invece chi è sopravvissuto ha gli occhi persi nel vuoto. Occhi pieni di paura, di orrore nell’aver visto morire annegati parenti e amici del tragico viaggio. Stanno stretti nelle loro coperte calde dopo essere rimasti all’addiaccio, dopo essere sfuggiti alla potenza devastante delle onde di un mare forza 4. Le urla strazianti di una donna in cerca dei figli scomparsi in acqua rompono il silenzio dei pochi superstiti. La Croce Rossa Italiana di Crotone insieme al Comune di Crotone ha attivato subito le squadre di assistenza psicologica sia per i sopravvissuti ospitati al Cara che per le persone ricoverate.
Sui social della croce Rossa arrivano messaggi da Iran, Iraq, Afganistan, di parenti di chi era a bordo della barca che cercano superstiti. Mandano foto, lanciano appelli. La tragedia è mondiale. La tragedia è dell’umanità abbandonata, della gente che scappa per dare un futuro ai figli e non perché non è responsabile come sostiene un ministro che viaggia in prima classe. Ma questo è un altro discorso. Restano i sopravvissuti resta l’orrore di quello che hanno vissuto, la paura della morte toccata con mano. 
Per capire la portata devastante di quanto accaduto l’ultima domenica di febbraio del 2023 basta dire che il supporto psicologico è stato attivato anche per i soccorritori che hanno dovuto recuperare decine di cadaveri dal mare. 
Il mare, quel mare Ionio che ha permesso ai popoli di incontrarsi e crescere nella cultura magno greca, domenica ha continuato a battere feroce sui resti di quello che era un barcone. La scarpetta numero 26 è rimasta lì, in attesa della sua Cenerentola che stavolta purtroppo non arriverà.