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Primo Maggio: legalità e lavoro, per dare speranza ai giovani

Giovani e lavoro. Un tema urgente che deve essere messo al centro del dibattito, come fa la Cei, nel messaggio in occasione della festa del Primo Maggio:

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Giuseppe Morrone
Ufficio Pastorale sociale e del lavoro
Giovani e lavoro. Un tema urgente che deve essere messo al centro del dibattito, come fa la Cei, nel messaggio in occasione della festa del Primo Maggio: «Giovani e lavoro per nutrire la speranza». I vescovi italiani ricordano la situazione di «precarietà» in cui vivono i giovani senza il lavoro, con il serio rischio di frustrare le loro legittime aspirazioni e ambizioni, compromettendo la loro stessa dignità. Desta preoccupazione il numero elevato di giovani che lasciano per sempre la terra di origine; aumenta il tasso di quanti né studiano e né lavorano (la condizione dei cosiddetti Neet); cresce il numero di quelli che finiscono nelle reti della criminalità, del gioco d’azzardo, del lavoro nero e sfruttato, del mondo della droga e dell’alcolismo. È debole il contrasto alla cultura dominante, che non aiuta i giovani a farli maturare: «essi pagano anche il conto di un modello culturale che non promuove a sufficienza la formazione, fatica ad accompagnarli nei passi decisivi della vita e non riesce a offrire motivi di speranza». Per porre rimedio a questa crisi, i vescovi interpellano le comunità cristiane («Vorremmo che le comunità cristiane fossero sempre più luoghi di incontro e di ascolto, soprattutto dei giovani e delle loro aspirazioni, dei loro sogni, come anche delle difficoltà che essi si trovano ad affrontare»), la politica e la scuola («Sollecitiamo la politica nazionale e territoriale a favorire l’occupazione giovanile e facciamo sì che il rapporto scuola-lavoro, garantito nella sua sicurezza, aiuti a frenare l’esodo e lo spopolamento»).

Cresce il numero dei disoccupati

Nella provincia, intanto, prospera il numero dei disoccupati, secondo le stime Polos (2021). I dati, infatti, evidenziano un tasso di disoccupazione pari al 29,5%, valore superiore al dato regionale (20,1%) e molto distante da quello nazionale (9,2%). Certo, mancano le occasioni di lavoro per carenze strutturali della nostra economia, che conosciamo bene. Il problema vero è che, dove scarseggia la domanda di lavoro, fiorisce floridamente anche lo sfruttamento, che crea condizioni poco dignitose: i lavoratori sono sottopagati, sanno di avere contratti non in regola e sanno che se dovessero parlare e denunciare la loro situazione probabilmente perderebbero il posto. Vittime di sfruttamento, vorrebbero gridare, ma non possono e sono costretti a coprire i loro datori di lavoro disonesti. È quanto ci confida, con amarezza, Roberto (nome di fantasia), operaio di un’azienda all’ingrosso di Crotone: «lavoro da 22 anni e invece di guadagnare uno stipendio di 1500 euro al mese, arrivo a percepire 1000 euro, con ferie non pagate e decise arbitrariamente dal capo, straordinari ridotti (3 euro, invece di 8 l’ora). I permessi non mi vengono concessi. Per quanto riguarda le malattie, è capitato che sono mancato per motivi di salute; quando sono rientrato ho trovato sulla busta paga mezza giornata di malattia pagata da me e l’altra dall’Inps». Alla domanda se arrivano i controlli, risponde che «i controlli ci sono, ma il titolare lo sa in anticipo e fa trovare tutto a posto. I sindacati sono bravi solo a chiacchierare dietro le scrivanie, senza tutelarti veramente. Denunciare non conviene, perché poi si sparge la voce che tu sei uno che parli apertamente e nessuno è disposto ad assumerti. Questa è la realtà!»

Convegno del 15 marzo

Se questa è la realtà, quale futuro per il lavoro e i lavoratori? Come possono i giovani investire qui le loro risorse e realizzare dignitosamente i loro progetti? Al convegno del 15 marzo, organizzato dalla Pastorale sociale, riflettendo sul lavoro “ammalato” e pensando anche alle possibili “cure”, tra le altre cose, si è fatto riferimento alla necessità e all’urgenza dei controlli da parte delle autorità competenti, perché i lavoratori siano difesi, perché siano incoraggiati a ribellarsi alle varie forme di ingiustizie e soprusi. Lo Stato deve proteggere, attraverso le istituzioni, quanti si sentono illegalmente colpiti nei loro diritti; i sindacati si impegnino concretamente a garantire gli interessi dei lavoratori; i datori di lavoro, invece, se lamentano difficoltà, è giusto che affrontino i problemi, delegando alla politica il compito di farsi carico delle oggettive criticità ed emergenze, in cui le aziende o le imprese versano. Non è giusto che sia il personale, la parte debole, a dover pagare, creando un sistema iniquo che genera solo illegalità, abusi e prepotenze. Si dovrebbe diffondere, invece, la convinzione che motivare i dipendenti, con il riconoscimento dei propri diritti, migliora la produttività e garantisce il successo, generando processi virtuosi con ricadute positive sull’economia del territorio.