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L’Inferno di Dante in dialetto cutrese: Ciconte recita quattro cantiche

In occasione del ‘Dantedì’ di venerdì 25 marzo alle ore 19 alla chiesa della Santissima Annunziata di Cutro sarà presentato "U 'mpìarnu'

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L’Inferno di Dante tradotto in dialetto cutrese rispettando la metrica del sommo poeta. È un lavoro certosino, quanto immenso quello che ha fatto lo scrittore Marco Ciconte negli ultimi mesi. Lavoro che, in parte, verrà presentato in occasione del ‘Dantedì’ di venerdì 25 marzo alle ore 19 alla chiesa della Santissima Annunziata di Cutro. Lo stesso Ciconte reciterà in dialetto quattro cantiche avvalendosi delle illustrazione di Monica Arabia. L’iniziativa è organizata dal Centro studi e ricerche ‘Diego Tajani’ di Cutro. 
Si tratta di un assaggio di un lavoro che ha richiesto alcuni mesi: l’anno scorso Ciconte, infatti, ha riadattato tutti i 34 canti dell’Inferno, fino all’ultimo verso, rispettando la tecnica dantesca, dall’uso degli endecasillabi fino alle rime incatenate delle terzine.
“Non è una semplice traduzione – spiega lo scrittore -. Il lavoro è rivolto in particolar modo a chi non ha avuto l’opportunità di studiare o capire Dante (perché c’è anche chi lo ha studiato senza capirlo, ed io ero in cima alla lista). Lo scopo era quindi attenersi al testo ma semplificare il racconto, senza per questo banalizzarlo, per renderlo di immediata comprensione con l’uso del più popolare dei linguaggi, a beneficio di quella massa sterminata di donne e uomini che per situazioni personali o sociali si è ritrovata a "viver come bruti". L’unica licenza concessa è stata la attualizzazione di alcune terzine particolari alla contemporaneità: l’invettiva contro Pisa, ad esempio, è qui rivolta più in generale ai mali del nostro Paese”.
L’altro scopo recondito del lavoro di Ciconte è la restituzione di dignità al dialetto: “proprio una delle opere più elevate dell’ingegno letterario – dice lo scrittore cutrese – ne svela la incredibile capacità espressiva ed evocativa, pur con un vocabolario ridotto”.
Venerdì saranno eseguiti i Canti I, V, XIII, e XXIII, anche per dare adeguati riferimenti al percorso di Dante nel viaggio infernale. Un’ultima considerazione: il dialetto non ha una ortografia e una grammatica codificata, dunque è lingua orale per elezione ed eccellenza, per giunta accompagnata da un preciso linguaggio del corpo. “Quest’opera – precisa Ciconte – non avrà mai una versione scritta, ma potrà essere solo ascoltata (e vista) dal vivo”.