Cronaca

Cosca Grande Aracri, sequestrati beni per 10 milioni ai fratelli Muto

case sequestrate

I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Reggio Emilia hanno sequestrato beni per un valore di circa 10 milioni di euro ai fratelli Antonio e Cesare Muto. Il primo dei due è stato condannato con sentenza irrevocabile nell’ambito del processo “Aemilia” per associazione di tipo mafioso, truffa ed estorsione, tutti reati aggravati dall’art. 416 bis.1 c.p., in quanto appartenente al sodalizio ‘ndranghetistico emiliano, storicamente legato alla cosca Grande Aracri di Cutro.
L’esecuzione ha interessato le province di Reggio Emilia, Parma, Mantova e Crotone, ed ha comportato il sequestro di: 5 aziende operanti nel settore degli autotrasporti ed immobiliare, del valore complessivo di 3 milioni di euro;
6 immobili acquistati ad un prezzo complessivo di 3 milioni euro; 92 veicoli acquistati ad un prezzo complessivo di oltre 1 milione e mezzo di euro; 18 rapporti bancari le cui giacenze complessive sono tuttora ignote.
Le indagini patrimoniali, condotte dal I Reparto Investigativo del Ros, svolte sulla scia degli accertamenti condotti per l’operazione Grimilde, hanno confermato che ai fratelli Muto sono riconducibili diverse attività imprenditoriali, formalmente intestate a prestanome, nonché l’accumulo illecito di significativi patrimoni personali. Dall’esito delle indagini patrimoniali è emersa inoltre la gestione occulta di imprese operanti su tutto il territorio nazionale. Dopo appena due mesi dall’interdittiva antimafia che li aveva colpiti nel 2013, i fratelli Muto hanno costituito e avviato una nuova società di trasporti e viaggi turistici, la Cospar, intestandone le quote al prestanome Salvatore Nicola Pangalli, ingegnere di origini crotonesi. Grazie agli accertamenti bancari è stato possibile accertare che Pangalli ha costituito la Cospar con i soldi messi a disposizione dalle società dei Muto facendoli transitare sui conti di una società cartiera. Infine l’indagine economico-finanziaria ha confermato i legami tra i fratelli Muto e gli altri imprenditori già condannati per aver fatto parte della cosca emiliana, Giuseppe Giglio e i fratelli Vertinelli.