8 marzo

Donne avvocato, Marano: ancora troppe differenze con i colleghi maschi

Servono interventi tempestivi e politiche inclusive di conciliazione vita lavoro che sappiano innescare un cambiamento sostanziale per le donne avvocato e permettere di colmare le differenze di carriera e di reddito con i colleghi maschi. Lo scrive la presidente dell'ordine degli avvocati di Crotone, Caterina Marano.

Caterina Marano

CROTONE – Interventi tempestivi e politiche inclusive di conciliazione vita lavoro che sappiano innescare un cambiamento sostanziale per le donne avvocato e permettere do colmare le differenze coni colleghi maschi. Lo scrive in una lettera agli iscritti, la presidente dell’ordine degli avvocati di Crotone, Caterina Marano in occasione dell’8 marzo. Occasione nelle quale, secondo la presidente Marano, “l’Avvocatura deve fermarsi a riflettere, interrogarsi e prestare attenzione alla condizione delle donne, sui diritti delle donne, sulla parità di genere e su tutti quei temi che, ancora oggi, sono tanto caldi quanto irrisolti”.
 Nel fare una analisi dei dati Caterina Marano ritiene che “c’è poco da festeggiare” perché “purtroppo, le differenze di genere sul mercato del lavoro, oltre ad essere penalizzanti, si riflettono anche sulle pensioni, che per le donne sono più basse, anche del 40% rispetto a quelle dei colleghi. È l’effetto di carriere più brevi e stipendi inferiori a quelli degli uomini. La causa di questa disparità risiede, in massima parte, nei comportamenti nel mercato del lavoro. In Italia, in particolare, rispetto agli uomini, lavora un numero inferiore di donne. E quando lavorano lo fanno per un minor numero di anni nell’arco della vita e più spesso in part time: carriere più brevi e salari femminili più bassi di quelli maschili, diventano pensioni più basse per le donne”.

Differenza di reddito

Il dato registrato nell’Avvocatura, evidenzia Marano “offre uno scenario pressoché identico. Lo ricaviamo dai numeri delle cancellazioni: negativo il saldo per le donne avvocato, positivo per gli uomini.
 Anche la nascita dei figli ha poi un impatto molto negativo sulle carriere e di conseguenza sui guadagni. In Italia circa una donna su tre lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio e questo ha effetti molto significativi sui salari. Si pensi che l’80% dei congedi parentali è ancora utilizzato dalle donne e che la maternità comporta forti penalizzazioni in termini di reddito e di carriera”.
Come riporta la presidente dell’ordine degli avvocati di Crotone, “i numeri per le donne avvocato segnano una differenza reddituale, rispetto ai colleghi, di ben oltre 30 mila euro che diventano 47 mila se il rapporto tiene conto dei dati tra le regioni del nord e del sud.
Ancora tante donne trovano ostacoli nel rivelare le proprie capacità, sono minacciate da condizioni di povertà, schiacciate da forme di violenza, sono caricate da pesi supplementari, spesso insostenibili, tra il lavoro e la cura della famiglia, sono sottopagate o escluse da un’occupazione stabile.
 La questione femminile in Italia, è segnata da un gap allarmante che mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati nell’Agenda 2030”.

Più impegno meno passerelle

In conclusione per l’avvocato Caterina Marano “per invertire la rotta servono interventi tempestivi, politiche inclusive di conciliazione vita lavoro che sappiano innescare un cambiamento sostanziale attraverso la trasformazione delle norme sociali, culturali e giuridiche. Servono immediati interventi strutturali, politiche attente al genere, alle generazioni più giovani che introducano strumenti per favorire l’empowerment; serve, soprattutto, costruire una visione del mondo e della società che non sia più maschio-centrica e patriarcale. Serve meno retorica e più impegno concreto da parte di tutti.
L’8 marzo non deve trasformarsi in una corsa ai riflettori, alle passerelle, la ricerca di visibilità o di microfoni, ma deve richiamarci tutti ad un maggiore impegno, serio e concreto, che inizia proprio con l’assunzione delle nostre responsabilità come avvocati -consapevoli della funzione sociale della nostra professione- e, non di meno, di quei ruoli istituzionali che spesso siamo chiamati a ricoprire”.