Cultura e spettacoli

Thàlatta! Thàlatta!, la mostra fotografica sui migranti riapre la ferita della strage di Cutro

Evento incluso nella rassegna dell'associazione culturale 'E io ci sto'

La mostra fotografica collettiva ‘Thàlatta! Thàlatta –  Antologie migranti’, a cura di Giada De Martino riapre la ferita della strage di Cutro, sorella dei percorsi più o meno fortunati dei migranti che sbarcano a Lampedusa. L’evento inaugurale al Museo di Pitagora si colloca nella IV edizione della rassegna ‘E io ci sto’ giunta al suo secondo appuntamento. La mostra esposta all’interno del Museo di parco Pignera è visitabile dal 31 luglio.
LA MOSTRA
La tematica delicata e cruenta dell’immigrazione è stata fermata nel tempo dagli scatti dei fotografi, di fama internazionale, quali Alfredo D’Amato con il suo ‘Mapping Migration’ ovvero dodici fotografie che tracciano i chilometri percorsi dai migranti, viaggiando dai paesi dell’Africa orientale e occidentale. Viaggi da D’Amato definiti “incredibilmente pericolosi” al fine di raggiungere il nord Europa.
“Il lavoro inizialmente era stato commissionato dalla Croce Rossa inglese quindi avevamo già uno schema per rappresentare il viaggio – spiega Alfredo D’Amato, presente all’inaugurazione della mostra – Visivamente noi vediamo la linea tracciata sulla cartina geografica ma sono poi le storie delle persone ad impressionarti. Persone che scappano da situazioni che noi non possiamo immaginare. C’è una ragazza nelle foto che scappava con il padre da un villaggio del Mali, ma tutto ciò che le è accaduto durante il viaggio, dalla morte del padre, allo stupro subìto è realmente la storia che ha reso quel viaggio infinito…Quando diciamo che ce l’hanno fatta – prosegue D’Amato – dobbiamo chiederci cosa rimane a questa gente? Cosa gli aspetta una volta arrivati in Europa? Cosa può offrire la terra che hanno raggiunto?”.
Quel mare, che per Senofonte fece esplodere i greci in un grido disperato sul monte Teche, ‘Thàlatta, Thàlatta’ ovvero ‘Mare, Mare’ è lo stesso grido ricco di speranza che i migranti urlano, ancora oggi, vedendo terra.
“In greco ci sono diversi modi per dire mare – spiega Giada De Martino, curatrice della mostra – ma sembrava indicativo in questo contesto.  Questo piccolo cappello ‘Thàlatta Thàlatta’ credo sfugga dalla retorica dell’ immigrazione  perché spesso si usano frasi come ‘viaggi senza ritorno’, tutte cose che tendono a rendere drammatico l’argomento. Questa mostra con la sua selezione di immagini è stata interessante perchè apre a diversi spazi narrativi – dice De Martino – le immagini stesse, sono immagini parlanti che ci raccontano diverse prospettive. E il lavoro di Alfredo D’Amato, come fotografo presente oggi e Matteo Delbò è stato importante. Alfredo ha tracciato la linea della vastità dei viaggi intrapresi dai migranti e credo che nessuno di noi riesca a immedesimarsi in quanto siano estenuanti, mentre Matteo ci racconta in maniera molto poetica il ‘primo sonno dei migranti’ che una volta giunti a destinazione si abbandonano a questo sonno che è un sonno evocativo”.
Durante la presentazione della mostra è stato proiettato un video a cura di Libera Espressione che raccoglie un archivio audiovisivo dell’isola di Lampedusa gestito da Antonino Maggiore fotografo e videomaker che ha registrato gli arrivi sull’isola.
Presenti all’evento Fabrizio Oliverio e Francesco Pupa dell’associazione ‘E io ci sto’, il presidente del consorzio di cooperative sociali Jobel, Santo Vazzano e anche l’assessora alle Politiche Sociali del Comune di Crotone, Filly Pollinzi.
LA TESTIMONIANZA
Intenso è stato l’intervento di Rossana Perri, dell’associazione ‘E io ci sto’ che dal 2014 al 2016 è stata direttrice del centro di accoglienza a Lampedusa. “A Lampedusa la gente arriva sui gommoni o sui barchini di legno – racconta -. Ricordo lo sbarco di febbraio 2015, dopo un naufragio, e quei ragazzi che hanno viaggiato sul gommone con i loro amici morti. Ricordo il silenzio che c’ era sul molo quando sono arrivati, un silenzio di rispetto anche da parte di tutte le forze dell’ ordine e gli operatori che erano lì per soccorrerli. Ma il giorno successivo, nonostante la tragedia vissuta, parlavano già di quello che avrebbero fatto: alcuni volevano studiare, altri lavorare insomma erano volti ad una progettualità. Per me questo è stato l’insegnamento più grande, che ha dato un valore nuovo alla vita di tutti i giorni grazie alla forza e alla spinta propositiva di queste persone, che non sono numeri e che io ho cercato di chiamare sempre per nome".