Migranti

Nave ong sottoposta a fermo, Umanity 1: abbiamo rispettato le regole fotogallery

CROTONE - “Eravamo in acque internazionali quando abbiamo eseguito il soccorso di 77 persone. Avevamo avvisato sia il centro coordinamento soccorsi libico che quello italiano che stavamo intervenendo. Siamo arrivati lì per primi. Quello che ci contestano le autorità italiane non è corretto”. Lo sostiene Laura Gorriahn, portavoce di Sos Humanity, l'ong tedesca proprietaria della nave Humanity1 sottoposta a fermo amministrativo a Crotone

Laura Gorriahn, Umanity1

CROTONE – “Eravamo in acque internazionali quando abbiamo eseguito il soccorso di 77 persone. Avevamo avvisato sia il centro coordinamento soccorsi libico che quello italiano che stavamo intervenendo. Siamo arrivati lì per primi. Quello che ci contestano le autorità italiane non è corretto”. Lo sostiene Laura Gorriahn, portavoce di Sos Humanity, l’ong tedesca proprietaria della nave Humanity1 sottoposta a fermo amministrativo a Crotone perché nel salvare 77 migranti (sbarcati nel porto calabrese il 4 marzo) avrebbe violato le norme del decreto Piantedosi. Gorriahn, era a bordo della Humanity 1  quando, sabato 2 marzo, hanno prestato soccorso ad alcuni barchini nel Mediterraneo: “Abbiamo ricevuto la segnalazione dalle barche in difficoltà dal velivolo SeaBird2, abbiamo confermato (tramite e-mail alle autorità, italiane e libiche) la nostra disponibilità essendo i più vicini alle coordinate ricevute. A soccorso iniziato è arrivata una imbarcazione della cosiddetta Guardia costiera libica. Stavamo assistendo la gente sulle barche distribuendo giubbotti di salvataggio. Quando i libici sono arrivati la gente ha cominciato ad avere paura e tanti si sono tuffati in acqua. È stato un momento caotico. I libici avevano delle armi ed hanno anche sparato un colpo in acqua. Noi abbiamo cercato di trarre in salvo la gente in mare aperto, ma a un certo punto è stato difficile e pericoloso e così abbiamo deciso di interrompere il soccorso. Attualmente non sappiamo se le persone in acqua sono state soccorse o lasciate lì. Possiamo pensare che siano state riportate indietro in Libia”.
Nel decreto di fermo, alla Humanity 1 si contesta di aver operato in acque sar libiche, una zona che si trova in acque internazionali ma la cui competenza per i soccorsi è libica: “Eravamo nelle acque internazionali – dice Gorriahn -. Abbiamo anche informato le autorità italiane e libiche che stavamo rispondendo ad una richiesta di soccorso. Siamo arrivati per primi sulla scena. Le autorità libiche, quando sono arrivate, ci ha detto di allontanarci ma noi eravamo già lì e come prevedono gli accordi internazionali stavamo svolgendo il soccorso. Il nostro intervento è stato del tutto legale. Abbiamo le registrazioni del gps e dei dialoghi via radio che dimostrano che eravamo lì prima e che abbiamo seguito tutte le regole”.
La portavoce di Humanity 1 rivela anche che la ong ha presentato una denuncia sia al governo italiano che a quello tedesco per ‘Security incident’ nella quale si accusa la Libia di aver messo in pericolo la sicurezza dell’equipaggio minacciandolo con le armi e sparando verso di esso: “C’è già un’indagine in corso – ha spiegato Gorriahn – e ci sono anche alcuni testimoni. Mentre la Guardia di Finanza e la Polizia ci hanno fatto delle domande per sentirci sul fermo. Humanity 1 ha fatto tutto correttamente, non ci sono prove contro di noi e per questo ricorreremo contro il fermo”.
Tuttavia le autorità italiane nel disporre il fermo hanno creduto alla versione della Libia e non a quella della Ong. “Penso che l’Italia e l’Europa – ribadisce Laura Gorriahn – abbiano diversi interessi in questa situazione. Gli stati europei stanno venendo meno alle loro responsabilità ed hanno chiuso tutte le vie legali per l’accesso ai territori europei e quindi le persone sono obbligate a farlo in maniera illegale. È chiaro quello che gli stati europei stanno cercando di fare finanziando la Libia e dando alla cosiddetta guardia costiera libica delle navi: gli Stati europei non vogliono che i rifugiati, che i profughi vengano in Europa e così pagano altre persone per fare questo lavoro. Questo non è legale ed è contro i diritti internazionali. Questa è una situazione molto difficile, anche per noi. perché cerchiamo di aiutare le persone e cerchiamo di tutelare i diritti umani: nessuno dovrebbe annegare nel Mediterraneo”.